Slater, Jordan e tutti gli altri

kelly slater

Ieri (Sabato) sera ero sfinito. Sará che ho avuto una settimana di lavoro impegnativa. Avevo un mal di testa persistente. Per la serata, avevo una sola cosa da fare: guardare la gara di surf a Pipeline, che le previsioni preannuciavano epica. Ho visto un paio di heats, e poi sono letteralmente caduto in un sonno profondo. Mi sono risvegliato stamattina con la notizia che mi aspettavo: Kelly Slater ha vinto il Pipeline Pro, la prima gara del mondiale 2022. Trent'anni dopo la sua prima vittoria al Pipe, nel 1992. Per capirci, era l'anno in cui venne firmato il Trattato di Maastricht, dando inizio alla Comunitá Europea. Io, nel 1992, avevo 11 anni. Tre anni dopo avrei iniziato a surfare. Non ho ancora smesso, anche se devo dire che la qualitá del mio surf ha avuto un picco sui 25 anni, e sta lentamente ma inesorabilmente cadendo nel ridicolo.

 

“uno che non ha bisogno di statistiche, perché le statistiche lo offendono”.

Federico Buffa, su Michael Jordan

Per chi non sapesse chi sia Kelly Slater, faccio un breve riassunto. Undici volte campione del mondo, il piú giovane e il piú vecchio surfista a vincere la coppa. The GOAT, come dicono gli americani: “the Greatest Of All Times”. Uno che, con trenta anni di carriera sulle spalle, vince ancora. Qualcuno dice che sia il piú grande atleta mai visto. Piú di Pelé, piú di Valentino Rossi. Piú di Lindsey Vonn nello sci e Serena Williams nel tennis. Come dice Federico Buffa di Jordan, “uno che non ha bisogno di statistiche, perché le statistiche lo offendono”. Semplicemente, i numeri non possono descrivere quello che Slater ci fa vedere da 30 anni, un continuo spostamento dell’asticella del surf professionistico verso mete irraggiungibili ai comuni mortali. E lo ha fatto in un trentennio in cui il talento nel mondo del surf non é certo mancato. Rob Machado, Andy Irons, Mick Fanning, John John Florence, Gabriel Medina sono solo alcuni dei nomi con i quali ha avuto a che fare, e che resteranno per sempre nella “Hall of Fame” tra i piú forti surfisti di tutti i tempi. Un po’ come se Lewis Hamilton, Ayrton Senna, Alain Prost, Nicky Lauda, Michael Schuhmacher e Fangio avessero tutti corso nella stessa epoca in Formula 1, con la stessa automobile. E uno di loro fosse andato avanti a vincere per 30 anni. Inimmaginabile.

a 12 anni ho preso la mia prima onda a backdoor, mi ha dato un calcio nel sedere e mi ha sbattuto sul fondo. Sono tornato nell’Eukai channel e ho pensato: amo questo posto”.

Kelly Slater

Tra una manciata di giorni, Kelly compierà 50 anni. Negli ultimi 4 giorni ha messo in riga ragazzi che non erano ancora nati all’epoca della sua prima vittoria. Surfisti dal talento supremo, che hanno fatto di tutto per non farlo arrivare fino in fondo. Per parafrasare ancora Buffa (quando parla di Kobe Bryant): Jack Robinson, Kanoa Igarashi e Seth Moniz hanno tirato fuori tutto quello che c’é nel Libro del Surf. Solo che lui, a un certo punto, ha chiuso il libro e gli ha fatto vedere cosa vuol dire essere The GOAT. Per tutta la gara, lo ha fatto principalmente a Backdoor, ovvero l’onda destra che rompe al Pipe, con la quale ha una storia d’amore lunga quasi 40 anni. Lo ha ricordato lui stesso sul podio: “a 12 anni ho preso la mia prima onda a backdoor, mi ha dato un calcio nel sedere e mi ha sbattuto sul fondo. Sono tornato nell’Eukai channel -il canale nel reef che i surfisti usano per portarsi verso il largo a Pipeline- e ho pensato: amo questo posto”.  

La maggior parte della gente vive nella paura perché proiettiamo il passato nel futuro.

Mike Vance, parlando di Michael Jordan

Poi, sempre sul podio, ha detto un’altra cosa, che mi ha fatto pensare a tutt’altro. Quando gli é stato chiesto come faccia a mantenere sempre la calma e a trovare la motivazione per continuare a questi livelli, ha detto che cerca sempre di respirare e vivere nel presente. Tutto qua. Respirare e vivere nel presente. E mi ha ricordato una cosa che é stata detta su Jordan, nel documentario “the Last Dance”. Parlando di lui, il giornalista Mark Vance dice: “La maggior parte delle persone lotta per essere presente. La gente va a sedersi negli ashram per 20 anni in India cercando di essere presente. Fare yoga. Meditare. Cercando di arrivare qui. Adesso. La maggior parte della gente vive nella paura perché proiettiamo il passato nel futuro. Michael è un mistico. Non è mai stato da nessun’altra parte. … Il suo dono non era quello di poter saltare in alto, correre veloce, tirare a canestro. Il suo dono era essere completamente presente. E questo lo separava da tutti gli altri”. Ancora, vivere nel presente. Non puó essere un caso.

I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non ti erano mai passate per la mente”.

The Big Kahuna


Vivere nel presente é una delle cose piú difficili da fare nella societá moderna. Ci dimentichiamo sempre quello che diceva il personaggio di Denny De Vito nel film “the Big Kahuna”: “I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non ti erano mai passate per la mente”. Molti di noi vivono costantemente nella paura che un evento passato si trasformi in qualcosa di spiacevole nel futuro. Quelli come Kelly no. Stanno per giocarsi una finale epica al Pipe, con onde letteralmente in grado di ucciderli. Ma in qualche modo, la loro mente é predisposta (e allenata) a concentrarsi unicamente sulla sensazione dei piedi che affondano dolcemente nella sabbia prima di entrare in acqua, e sul piacere di sapere di essere li, e in quel momento. Io credo che sia questo che fa la differenza, quello che non c’é scritto nel Libro del Surf. Se la differenza la facesse il corpo, Kelly sarebbe finito giá da un pezzo. Invece, in qualche modo, qualcosa nella sua mente gli consente di andare oltre i limiti del corpo. In questo connubio tra mente e corpo ci sono anche i famosi “5 secondi” di Alex Zanardi (Forza Alex!!!), quei cinque secondi in cui il corpo gli diceva che non ne aveva piú ma lui obbligava la sua mente a dire al corpo: “ne ho ancora”. E viceva ori olimpici a ripetizione.

Sembrano tutte cose distanti da noi. Slater, Jordan, Zanardi. Ma non lo sono, in un certo senso. Fino a qualche anno fa, pensavo che parole come “mindfulness” e “mental coach” fossero solo termini da frikkettoni (“quelli che vanno in India con il Renault 4”, come dice Marco Paolini) e atleti strapagati. Stronzate, insomma. Poi, ho conosciuto una parte di me che era rimasta nascosta per piú di 35 anni. Al ragazzo senza pensieri, sicuro di sé e tutto sommato mentalmente solido, si é andato sostituendo piano piano un individuo con paure, ansie e, a volte, crisi di panico. Nulla di grave, intendiamoci. Solo una persona meno felice e meno spensierata di quella che conoscevo. Le cause? Chissá, forse molteplici. Di sicuro, la vita del ricercatore é bella ma stressante, con contratti che per anni si rinnovano solo annualmente. Si é sempre preda di incertezze in un mondo ultra-competitivo, dove chi non ce la fa rischia di scomparire. Per chi, come me, va all’estero, si vive lontano da casa e dagli amici storici, con conoscenti e colleghi che cambiano spesso nel turbinio delle posizioni accademiche. In un paragone azzardato, vivevo ogni anno la stessa incertezza di un surfista nel world tour: se non pubblichi abbastanza e non ottieni finanziamenti sei fuori. La parola “burnout” nel mio campo é tabú (“don’t ask, don’t tell”, diceva Clinton a riguardo di gay e lesbiche nell’esercito americano). Ma esiste, eccome. Conosco colleghi che dopo anni di successi non sono riusciti ad aprire il PC e rispondere a una mail per mesi interi, e ci hanno messo anni a tornare a stare bene.

Io sono stato fortunato. Ad un certo punto ne ho avuto abbastanza, ho vinto la mia resistenza interna e sono andato da uno psicologo. Credo ci abbia messo molto poco a capire cosa mi stava succedendo, e piano piano ha rotto la mia aura di diffidenza verso la mindfulness e mi ha convinto a praticare pochi ma essenziali esercizi. Mi ha aiutato ad insegnare alla mia mente a vivere nel presente, e a riportarmi gentilmente nel presente tutte le volte che la mia mente inizia a rimuginare. Mi ha insegnato a respirare, e ad ascoltare il mio respiro per calmarmi quando sono teso. Con uno sforzo notevole, la qualità della mia vita é migliorata, e di molto. Mi ha aiutato a cercare dentro di me un tempo e un luogo in cui sono stato felice, e mi ha insegnato a tornarci ogni volta che voglio. Inutile dirlo, ogni volta torno al mio primo home spot, ora scomparso, in un calda serata di inizio settembre con onde belle e gli amici di sempre. Nella mia mente é la sera del mio primo tubo, a detta di chi c’era assolutamente no (ma sono solo invidiosi, IO me lo ricordo bene!).

Quasi esattamente un anno dopo la mia prima visita nello studio dello psicologo, ho avuto la mia Pipeline professionale. Sono stato scelto tra moltissimi candidati per difendere davanti a un panel di esperti il mio progetto per un finanziamento della European Research Council (in breve, ERC). Chi vince uno di questi finanziamenti ha una carriera segnata: 1.5 milioni di euro per sviluppare la tua idea, e la fila di Universitá pronte ad offrirti un posto a tempo indeterminato come professore. La svolta, insomma. Queste borse sono da molti considerate il top che un ricercatore possa raggiungere, almeno in Europa. Qualche giorno prima, il mio psicologo mi aveva detto le stesse cose che ha riassunto Kelly per la sua finale: “quando sei li, respira, concentrati su quel momento e sii semplicemente contento di essere li, senza aspettative per il futuro”. Di nuovo, come Kelly e Jordan. Pensa al presente. Nella sala d’attesa ero l’unico che aveva un sorriso idiota stampato in faccia, mentre guardavo dalla finestra del palazzo della ERC gli aerei che decollavano e mi chiedevo dove stessero andando. Sembravo un coglione. Qualche giorno dopo, ho aperto la mail che mi annunciava che avevo vinto. Mi sono sentito come Kelly ieri sera.

Ecco, al di lá degli 11 mondiali, di tutte le onde e di tutte le emozioni che ci ha regalato, Kelly ci lascia un insegnamento che dovremmo tatuarci addosso. Vivere qui e ora é essenziale per essere persone migliori e affrontare al meglio le grandi onde che la vita ci scarica addosso. Non proiettare le nostre paure passate verso il futuro. Non serve a nulla. Da studioso di clima, mi viene da espandere il concetto dicendo che vivere qui e ora significa anche agire qui e ora. Ad esempio, per contrastare il cambiamento climatico, senza rimandare. Ma anche senza avere paura del futuro, perché sappiamo cosa fare. E sappiamo che siamo ancora in tempo per fare in modo che il futuro sia bello ed eccitante come un’onda che si apre a Backdoor.

 

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