Oltre 5 trilioni di frammenti di rifiuti di plastica galleggiano alla superficie dell’oceano, un numero con 18 zeri, confrontabile a quello delle stelle nella Via Lattea. Più del 90% di questi frammenti hanno dimensioni minori di 5 mm (le cosiddette microplastiche) e sono ricoperti da un biofilm costituito da alghe unicellulari, batteri, invertebrati microscopici e virus. Un vero e proprio ecosistema in miniatura, che come gli ecosistemi terrestri è composto da produttori primari, consumatori, predatori e decompositori.
Tramite l’analisi del materiale genetico raccolto nel biofilm che ricopre le microplastiche, gli scienziati hanno identificato centinaia di specie diverse di microrganismi e hanno scoperto che le comunità microbiche della Plastisfera sono diverse da quelle che vivono libere nell’acqua di mare. La plastica rappresenta infatti un habitat con una forte capacità di selezione: la sua superficie idrofobica promuove una colonizzazione precoce e una rapida formazione del biofilm, mentre la sua persistenza consente la “maturazione” delle comunità microbiche e la loro evoluzione nel tempo.
La maggior parte dei rifiuti di plastica che galleggiano alla superficie dei mari sono frammenti di polietilene e polipropilene, polimeri sintetici impiegati nell’industria degli imballaggi e degli oggetti monouso, che hanno una densità inferiore a quella dell’acqua di mare e per questo galleggiano e si accumulano in zone di convergenza create dai venti e dalle correnti.
Dai microbi agli invertebrati, molti organismi sono sempre stati trovati attaccati su substrati rigidi galleggianti come alghe, piume, pezzi di legno o di pomice. Ciò che rende unica la plastica nella sua capacità di agente dispersivo, è la sua longevità rispetto alla maggior parte dei substrati naturali e la sua capacità nel percorrere lunghe distanze.
Nell’oceano le microplastiche hanno una distribuzione diversa da quella dei substrati naturali e si possono trovare anche nelle zone oceaniche povere di elementi nutritivi dove normalmente non vi sono strutture rigide galleggianti. Qui, queste “mini-barriere” artificiali favoriscono probabilmente l’aggregazione di microrganismi fotosintetici e possono influenzare la produttività primaria (cioè la fotosintesi) e secondaria (cioè la crescita degli animali che si nutrono dei produttori primari).
Le grandi quantità di detriti plastici rilasciati nell’ambiente marino nel corso degli ultimi settant’anni hanno fatto aumentare le opportunità per la dispersione degli organismi marini, inclusi alcuni patogeni che possono rappresentare minacce per la fauna marina e per gli esseri umani. Oltre a batteri del genere Vibrio, sono stati trovati sui rifiuti plastici anche agenti patogeni per i pesci e alghe planctoniche del gruppo dei dinoflagellati potenzialmente capaci di dare origine a fioriture algali tossiche.
Numerose specie di animali si nutrono nella zona superficiale della colonna d’acqua nei mari e nell’oceano, proprio in corrispondenza dove i venti e le correnti marine concentrano le microplastiche. È così che questi detriti sintetici rappresentano un pericolo per le catene alimentari perché possono contenere dei composti tossici che derivano dal processo di fabbricazione (ad esempio il Bisfenolo A) oppure dei contaminanti adsorbiti sulla loro superficie dall’acqua circostante (come nel caso dei PCB). Queste sostanze possono essere trasportate attraverso regioni marine anche molto distanti tra loro e tramite le reti trofiche possono essere trasferite a una vasta gamma di organismi, dallo zooplancton e i piccoli pesci, fino alle balene.
Molti organismi marini mangiano indiscriminatamente tutto quello che trovano in mare e che ha le giuste dimensioni. Altri utilizzano invece la chemio ricezione per selezionare le particelle di cibo e possono essere tratti in inganno dal biofilm che ricopre i rifiuti plastici e conferisce loro l’odore, il gusto e forse anche l’aspetto di una particella alimentare. Ingerite, le microplastiche possono causare abrasioni interne nel corpo di organismi bivalvi filtratori, mentre sacchetti e film plastici di grandi dimensioni possono causare blocchi digestivi nelle tartarughe marine.
Vari tipi di polimeri plastici sono stati trovati nel corpo di pesci e uccelli marini. I composti tossici associati alle microplastiche sono la causa più probabile delle reazioni di stress misurate tramite biopsie sulle balenottere comuni (Balaenoptera physalus) che vivono nel Mediterraneo. La comunità scientifica comincia adesso a riconoscere che l’inquinamento biologico, mediato dalle grandi quantità di rifiuti plastici presenti nei mari e nell’oceano, rappresenta anch’esso un pericolo per la diffusione di malattie negli organismi marini.
Il Mediterraneo è uno dei mari con maggiori densità di microplastiche, fino a 1,2 milioni di frammenti plastici a chilometro quadrato. Monitorare e identificare le comunità microbiche della Plastisfera e valutare gli eventuali rischi associati a patogeni e specie tossiche è un’area di ricerca prioritaria.
L’Area Marina Protetta (AMP) delle Secche della Meloria è un’area marina peculiare nel panorama italiano. Le sue caratteristiche geografiche ambientali fanno sì che sia completamente distaccata dalla costa, posta in un braccio di mare aperto a circa 3,5 miglia nautiche (7 km) dalla linea di riva, di fronte alla città ed al porto di Livorno. L’unica parte fuori acqua è costituita dai rilevati formati da piccole scogliere artificiali fondate sulla testa della secca e su cui furono costruiti il faro di segnalazione marittima e la storica torre della Meloria, memoria della battaglia tra le Repubbliche Marinare di Pisa e di Genova.
La Plastisfera è un nuovo e complesso ecosistema marino composto dai rifiuti di plastica e dai microorganismi che ci vivono sopra. Colonizzati poche ore dopo l’ingresso in acqua, i polimeri plastici costituiscono un substrato persistente sul quale possono evolversi comunità microbiche composte da alghe unicellulari, batteri, piccoli invertebrati e virus, alcuni dei quali potenzialmente pericolosi per gli organismi marini e per l’uomo. Tramite il progetto di Citizen Science PlasticheAMare studieremo la Plastisfera nell’Area Marina Protetta delle Secche della Meloria.
Nell’ambito del progetto di Citizen Science PlasticheAMare il 31 ottobre abbiamo effettuato il primo campionamento per lo studio della Plastisfera nell’Area Marina Protetta (AMP) Secche Meloria. A bordo del veliero “Sintesi” abbiamo raccolto campioni di rifiuti plastici galleggianti lungo 3 transetti all’interno della zona B. Per i campionamenti abbiamo usato una rete di tipo “manta” costruita per navigare appositamente nello strato superficiale della colonna d’acqua. I campioni raccolti saranno utilizzati per lo studio della composizione chimica delle plastiche e per l’identificazione dei microrganismi che ci vivono sopra. Ulteriori campionamenti in successivi periodi dell’anno ci consentiranno di studiare le variazioni stagionali nelle comunità di microrganismi della Plastisfera delle Secche della Meloria.
Lo studio della Plastisfera nell’AMP Secche Meloria è svolto nell’ambito del progetto di Citizen Science PlasticheAMare ed è patrocinato dall’AMP Secche Meloria.
Collaborano allo studio i Sons of the Ocean, il Corso di Laurea Magistrale in Scienze Ambientali dell’Università di Pisa, Thalassa – Marine Research and Science Communication, il Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, CNR-ISMAR Istituto di Scienze Marine, e la Lega Navale Italiana – sezione di Livorno tramite i suoi soci.
Mille grazie a Enrico, armatore di Sintesi, e Alfredo che hanno partecipato come supporto in mare offerto da LNI Sez. Livorno, così come agli altri volontari a bordo: Daniela, Fabrizio e Liliana.
L’attività è stata coordinata da Elena (da remoto), Lucia, Matteo, e Tosca.