Laureata in Biologia Marina presso l’Università di Bologna, mi occupo principalmente di indagini eco-tossicolgiche nei grandi vertebrati marini.
La plastica è una problematica ambientale ormai riconosciuta a livello globale. Oltre alle isole di plastica che si creano in certe zone degli oceani, la presenza di micro- (0,1 e 5 000 µm) e nano-plastiche (0,001 a 0,1 µm) in ogni ambiente acquatico desta non poche preoccupazioni, sia per gli organismi viventi che vi abitano che per l’uomo stesso.
Queste particelle vengono ingerite da organismi filtratori, come molluschi e bivalvi, scambiandole per plankton. Le ritroviamo poi nei pesci di grandi dimensione, in concentrazioni maggiori, attraverso un processo di accumulo lungo la catena trofica, chiamato biomagnificazione.
A questo processo è soggetto anche l’uomo che si ritrova sul piatto una sostanziosa porzione di plastica. Alcuni studi indicano che le microplastiche, dopo il consumo negli alimenti, possono trasferirsi nei tessuti e penetrare nelle cellule, esponendo gli organismi a sostanze dannose per l’organismo, come il bisfenolo A (BPA) e gli ftalati, con potenziali conseguenze per la salute. Un’ulteriore preoccupazione è data dal fatto che le microplastiche hanno dimostrato essere composti che adsorbono e trasportano altre sostanze inquinanti liposolubili, come i policlorobifenili (PCBs), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPAs) ed i pesticidi.
Molti di questi contaminanti sono stati catalogati come cancerogeni ed interferenti endocrini. Sono quindi in grado di alterare funzioni ormonali (questi composti sono in grado di mimare, competere per o inibire la sintesi di ormoni endogeni), riproduttive, di sviluppo ed immunitarie. Sono in corso ancora molti studi in merito a queste sostanze ed tra gli aspetti più difficili da valutare è quello che viene definito “effetto cocktail”, ossia l’effetto dato dalle miscele di sostanze inquinanti negli organismi. Le miscele infatti possono portare a risposte combinatorie diverse e spesso imprevedibili, da un semplice effetto additivo (la somma dei singoli effetti), al sinergismo (quando l’effetto risultante è qualcosa di nuovo e diverso rispetto alla semplice somma).
Purtroppo anche i mari che bagnano le nostre coste risentono di questa pressione antropica inquinante, e lo dimostrano i diversi studi condotti dall’Università di Siena condotti negli ultimi anni. I ricercatori hanno utilizzato il più grande mammifero marino planktofago presente nel Mediterraneo, la balenottera comune (Balaenoptera physalus) come sentinella ambientale del Santuario Pelagos, valutando i composti veicolati dalle particelle di plastica, quali organoclorurati (OCs) e ftalati, ed i loro potenziali effetti tossici sulla specie. I risultati ad oggi sono netti: la Balenottera comune appare esposta in maniera cronica ed elevata a contaminanti persistenti come risultato della ingestione delle microplastiche, e quindi ad effetti cancerogeni ed endocrini.
Per un maggiore approfondimento è possibile seguire il progetto di studio qui: https://www.dsfta.unisi.it/it/ricerca/aree-di-ricerca/la-ricerca-scienze-ambientali/ecotossicologia/presenza-ed-effetti
L’uomo non è meno a rischio della nostra Balenottera. Si registrano elevate concentrazioni di microplastiche nei pesci, ma poiché queste sono presenti per lo più nello stomaco e nell’intestino, che di solito vengono scartati, i consumatori ne risultano poco esposti. Non diminuisce però l’esposizione ai contaminanti liposolubili veicolati da queste micro particelle. Nel caso del consumo di crostacei (come gamberi e scampi) e di molluschi bivalvi (come le cozze e le vongole), il tratto digestivo viene invece consumato, per cui si ha una certa esposizione di miscele plastiche e contaminanti tossici.
La lotta alla plastica nei nostri mari, è una lotta che riguarda tutti.
Laureata in Biologia Marina presso l’Università di Bologna, mi occupo principalmente di indagini eco-tossicolgiche nei grandi vertebrati marini.
https://www.researchgate.net/profile/Costanza-Formigaro/research