Appassionato da sempre alle vicissitudini del tempo, tra il 2005 ed il 2008 consegue laurea triennale e poi specialistica in Fisica dell'Atmosfera e Meteorologica all'Ateneo di Bologna. Nel contempo (luglio 2002 – luglio 2006) lavora come redattore per il portale tematico MeteoLive, mentre nella stagione invernale 2008-2009 passa a redigere per il Comune di Sestriere i bollettini meteo per conto dell’Arpa Piemonte, come collaboratore esterno. Da aprile 2009 a giugno
2010 lavora come ricercatore al CIBIC di Firenze, per passare poi al progetto “ClassMeteo” di Class Editori, per il quale ha contribuito dal giugno 2010 al giugno 2012.
Dal 2014 presta la sua opera all'azienda privata Radarmeteo.
Coltiva anche passione per la micologia e l’astronomia, la botanica e la matematica pura.
Il dibattito riguardante l’inquinamento dell’aria è realtà da decenni, ma pare che la divulgazione in merito non abbia ancora raggiunto l’obiettivo di trasmettere due messaggi ben distinti ed apparentemente in antitesi, ossia: 1) i livelli inaccettabili raggiunti sin dalla remota Rivoluzione Industriale stanno ormai puntando verso l’irreversibilità; 2) di contro c’è ancora un po’ di tempo per agire ed invertire la tendenza suicida.
E’ dato di pochi giorni fa l’ampio superamento delle soglie di riferimento per numerose sostanze nocive nell’aria della Pianura Padana e non solo, a causa dell’alta pressione presente ormai da giorni sul nostro Paese a smorzare il rimescolamento dell’aria tra montagne, valli, mari ed aria libera in genere.
Molti di questi composti sono prodotti dall’interazione tra le attività dell’uomo ed i normali processi naturali che coinvolgono la vegetazione presente sia nei centri urbani che nelle campagne. Fra i più pericolosi vanno citati due gas: il monossido di azoto (NO) ed il biossido di azoto (NO2), entrambi risultato della reazione chimica tra i prodotti della combustione di legna ed idrocarburi (come nei forni, nelle autovetture, negli impianti di riscaldamento e nei processi industriali in genere).
Sono capaci di portare irritazioni agli occhi e le mucose delle vie respiratorie, in alcuni casi comportando danni ingenti, danni dei quali spesso non ci accorgiamo finché non diventano profondi ed irreversibili. E questo fatto deve preoccupare, visto che le attività umane responsabili del problema stanno aumentando sempre più in quantità.
Fin qui una minuscola parte del problema. Il tutto va poi moltiplicato per la questione riguardante le emissioni solide, l’ormai famoso particolato che comprende le PM10, le PM2,5, le polveri di dimensioni maggiori prodotte dall’abrasione delle gomme, dei freni, dell’asfalto, e così via.
Eppure tutto ciò non sembra interessare i nostri amministratori: annualmente vengono al più messe in campo misere iniziative di comodo come le targhe alterne o le domeniche a piedi, che non hanno la benché minima conseguenza sulla concentrazione di questi composti nel medio e lungo termine. Al fine di contenere il pericolo occorrerebbe il vento – che spesso non c’è – per rimescolare l’aria e diluire (non dissolvere) i gas e le polveri inquinanti.
Il cittadino medio pare fregarsene della faccenda, continuando bellamente ad utilizzare la propria autovettura anche nelle giornate più nebbiose e trafficate. Ma in realtà nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di mancata consapevolezza del rischio, amplificata dal vuoto pneumatico messo in campo dai nostri rappresentanti presenti nei vari scranni che attraversano l’intera scala gerarchica a livello pubblico.
La prima azione da intraprendere, ancor prima della pratica sul campo, è una informazione chiara su vasta scala che renda chiare a tutti le tematiche più stringenti da affrontare e risolvere. Volantinaggio, giornate di approfondimento, corsi appositi basati sul confronto, quant’altro possa essere utile al fine di rendere la popolazione ben informata e capace di attrezzarsi per una quotidianità differente e più sostenibile.
Solo allora potranno essere intraprese azioni concrete dagli utenti finali, magari attraverso idee e progetti su piccola scala maturati in un contesto umano più cosciente di adesso.
Dobbiamo metterci però in testa questo: non possiamo aspettare che le istituzioni agiscano per il nostro tornaconto; la trama della burocrazia è un cancro in metastasi, gli interessi economici e di potere dei singoli ancora peggio.
Informazione e pratica nel nostro piccolo, pensando a noi stessi come membri di una comunità di persone con lo stesso obiettivo: rendere l’ambiente nel quale viviamo più favorevole alla salute nostra e altrui.
Due piccoli esempi, nei limiti della fattibilità?
Visto che lo smart working – grandissimo vantaggio per molti che non debbano per motivi pratici essere presenti in sede di lavoro – è così osteggiato, potrebbe essere utile trovarsi con i colleghi dello stesso turno per utilizzare una sola macchina per 4-5 persone piuttosto che usare 5 vetture per trasportare i singoli. Si tratterebbe di abbattere le emissioni tossiche da combustione di almeno una buona metà!
Oppure, più in piccolo, imparare ad utilizzare meno bottiglie di plastica, riciclandole per riempirle nelle fontanelle presenti qua e là nelle città. Ancora meglio se invece delle bottiglie ci dotassimo di una borraccia metallica con un piccolo filtro; la spesa iniziale sarebbe così compensata in poco tempo e l’inquinamento dovuto alla produzione e allo smaltimento della plastica subirebbe – a lungo andare – un certo rallentamento che sicuramente non fa male all’ambiente.
Si tratta solamente di iniziare ad intraprendere questo cammino, l’unico che possa mitigare le conseguenze di quel cambiamento climatico difficile da comprendere appieno, ma ormai ben presente nella nostra vita e nelle cronache.