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Era un caldissima giornata del luglio 1993, quando mi trovai per la prima volta di fronte a uno dei più grandi miti della storia del surf. Colui che nel novembre del 1957 aveva cavalcato la prima onda a Waimea Bay, che nel novembre del 1964 aveva scioccato la north shore prendendo un’onda gigantesca a un miglio dalla riva (la foto usata per il poster di The Big Wednesday raffigura Greg in spiaggia che osserva quei mostri liquidi) e catturato a Makaha, nel dicembre del ’69, quella che per anni è stata definita l’onda più grande mai surfata) se ne stava sdraiato in un letto king size con un ventilatore puntato dritto sulla faccia. Poche ore prima, alla cerimonia d’apertura del Biarritz Surf Festival gli avevo chiesto se potevo fargli un’intervista per la rivista italiana Surf Magazine e lui mi aveva risposta molto gentilmente che nei prossimi giorni ci saremmo sicuramente beccati in spiaggia. Ma poi, scoprii che alloggiava nel mio stesso hotel e quando ci incontrammo al desk per ritirare la chiave delle rispettive camere, mi invitò a bere una birra nella sua stanza. Mi invitò a sedermi di fianco al letto e si sdraiò, sudatissimo. Non mi posso dimenticare l’ampiezza della sua cassa toracica, impressionante come quei tronchi di redwood dai quali mi raccontò come si procurava il legno per shapare dei veri e propri gioielli. Nell’arco di un’ora e mezzo, mi raccontò episodi incredibili, al limite del paradossale, come il pollice perso da un suo amico shaper, e da lui recuperato e resinato dentro a un cilindro di resina con il quale aveva fatto un fermacarte che poi mostrò allo sfortunato amico. Mi resi ben presto conto che parlava molto poco di se stesso, ma citava continuamente amici e gag divertentissime. Fui io a dover insistere per farmi raccontare la giornata in cui trascinò tutti a Waimea. Conobbi un uomo ricco di humor e di ironia, che sembrava godere del tempo passato con uno sconosciuto foto-reporter italiano. Una storia dopo l’altra, una miniera inesauribile. L’incredibile somiglianza fisica con mio nonno materno me lo fece amare dal primo momento. Passammo una settimana a Biarritz, incontrandoci spesso in spiaggia ed a varie cene e cerimonie, ma mai in acqua. Greg aveva infatti chiuso con il surf già da più di vent’anni, cosa inizialmente incredibile e difficile da capire, ma più facile da comprendere man mano che si conosce il personaggio. Passò un solo anno prima di incontralo di nuovo, ad un trade show in California.
Girovagando per gli stand, vidi Greg circondato da una folla in attesa di autografi. Le pareti dello stand erano tappezzate da fotografie e dipinti che lo raffiguravano su onde gigantesche, ma nel mezzo troneggiavano delle fantastiche tavole shapate nel redwood. Quando Greg mi vide strizzò gli occhi come dire: “Hey, quel tipo lo conosco” poi mi si avvicinò e mi dette una pacca sulla spalla che per poco non mi lussa. “Sei l’italiano!”, esclamò. Indossavo una t-shirt della mitica A.S.I. per cui pensai che più di una buona memoria, avesse notato il logo dell’ Associazione Surfisti Italiani, ma subito dopo aggiunse : “Alessandro, right?”. La faccio breve. Gli raccontai che stavo progettando di aprire un surf-pub e di chiamarlo “Makaha Surf Clan”. L’idea gli piacque molto e mi fece una dedica in video per l’apertura. Poi, mi firmò un’altra dedica su un poster che incorniciai e che mostra una spaventosa a Kaena point, da lui stesso fotografata, mentre si recava a Makaha dove poche ore dopo surfò una delle onde più grandi della sua vita. Sul lato sinistro del poster c’è scritto “The biggest wave ever to hit the Hawaiian Islands in recorded history”… Ma il regalo più bello è stato il libro “Da Bull – Life On The Edge” da lui scritto insieme ad Andrea Gabbard, che di tanto in tanto rileggo perché è un meraviglioso spaccato dei pionieri californiani in cerca di onde grosse sulla north shore. Gente come Micky Munoz, Pat Curren, Mike Stange, Buzzy Trent, Phil Edwards (il primo a surfare Pipeline nel 1961…) e molti altri. Una lettura che consiglio a tutti. Greg era un personaggio davvero carismatico, capace di convincere anche il più restio a seguirlo sulla line-up nelle giornate più grosse, non a caso gli venne affibbiato il titolo di “pifferaio magico”. Fred Hemmings, già senatore dello stato delle Hawaii ed ex campione del mondo di surf, era a Makaha il giorno nel quale Greg prese la famosa onda e descrisse l’impresa come “una situazione di desiderio di morte. Qualsiasi altra persona che si fosse trovata in quella situazione sarebbe morta.” Quando decise di smettere di surfare, lo fece senza mai più guardarsi indietro: non poteva accettare il fatto che con l’avanzare dell’età non sarebbe più stato in grado di sopravvivere a onde gigantesche, a giornate epiche che rimarranno per sempre scolpite nella storia del big wave riding e del surf in generale, giornate come quelle vissute a Makaha, Pipeline, Waimea… Non c’è un singolo big wave rider moderno che non conosca le sue imprese. Uno dei più noti a cavallo tra gli anni 80 e 90, Ken Brashaw ha detto di lui: “cavalcare grosse onde è più facile oggi, perché i surfisti sanno che si può fare. Greg Noll ha provato che Waimea può essere surfata. Ha aperto le porte dell’ignoto, che ha reso più facile a me e ad altri farlo oggi. Sarei stato in grado di portare il mio big wave riding al livello che ho raggiunto oggi senza l’esperienza di Greg e del suo gruppo di amici? Oggi ho la stessa età che aveva Greg quando ha deciso di smettere di surfare a Waimea. Chissà a quale livello i surfisti che verranno dopo di me riusciranno a portare il big wave riding” – Dichiarazione rilasciata nel 1989. Dopo aver appeso la tavola al chiodo, Greg si è buttato nella pericolosa quanto redditizia pesca di granchi giganti nelle pericolose acque dell’Alaska. A tal proposito, Greg ha commentato così la sua scelta: “Il surf è una sensazione che non ti abbandona mai. Io sono ancora parte dell’Oceano. Ho solo diretto la mia attenzione verso altre sfide.” Ma per farvi capire meglio il personaggio, ho tradotto per i miei lettori un capitolo del libro “Da Bull – Life On The Edge” intitolato The Thumb (Il pollice). Godetevelo.
Ricky James era un eccellente shaper che ha lavorato per me per diversi anni prima di aprire il suo surf shop. Un giorno, nel nostro vecchio negozio sulla Pacific Coast Highway, Ricky stava segando delle strisce di legno mentre parlava con dei suoi amici. Ero a circa 4 metri e mezzo da lui. “Ricky, dannazione, presta attenzione a quello che fai” gli dissi. Lui mi rispose “Si, si, sono attento”. Ma continuava a raccontare storie e la sega a fare yeooooow, yeoooow, yeoooow. Improvvisamente sento la sega che si ferma e Ricky gridare, “Oh Dio!” Corro e vedo il il suo pollice sul pavimento. Se l’era segato giusto alla base. Prendo un tovagliolo di carta, lo raccolgo e porto Ricky in ospedale. Per tutto il tragitto parlo continuamente cercando di evitare che Ricky vada in shock. “Credi che possano riattaccarmelo?” mi domanda. “Oh, certo, hanno delle medicine moderne, no stress, Ricky. Calmati che andrà tutto bene. Te lo ricuciranno. Potrai avere un brutta cicatrice, ma andrà tutto ok”
Io guido, lui è sul sedile passeggero e il pollice sul sedile tra di noi. Mentre parliamo Ricky inizia a guardarlo come fosse una terza persone nell’auto. Come arriviamo in ospedale, portano Ricky alle emergenze. Io tengo il pollice, Ricky si stringe il mozzicone mentre entra il dottore. Ricky dice: “Sono così felice che sia arrivato. Crede di essere in grado di ricucirmelo, dottore?”
Il dottore usò il peggiore approccio mai visto da parte di un medico. “No, non servirebbe a niente. Possiamo ricucirlo, ma diventerebbe nero e cadrebbe entro un paio di giorni. Non serve nemmeno provarci.”
Adesso Ricky è davvero sotto shock e dice: “Dottore, per favore. Non so cosa la mia ragazza penserebbe di me. Me lo ricucia che sembri a posto. Non mi importa che funzioni.”
Il dottore gli parlò per un po’. Ovviamente, non gli ricucirono il pollice. Vidi un’infermiera che prese il pollice per gettarlo. Le chiesi “Le dispiace se lo prendo io?”. Pensò che era una richiesta davvero strana, ma me lo dette. Non lo dissi a Ricky. Dopo che l’ebbero bendato, lo portai a casa, ci facemmo due birre e lo lasciai riposare. Poi andai al negozio, mescolai un po’ di resina che misi in un tappo di plastica e ci affogai il pollice. Lasciai che si solidificasse poi estrassi la resina dal tappo. Era perfetto. Sembrava un fermacarte con un dito sospeso all’interno. Ricky stesse fuori dal lavoro per qualche giorno così usammo il pollice come una sorta di novità. Lo mettemmo nella vetrina interna tra pinne, paraffina e accessori skate. I clienti che si aggiravano nel negozio guardavano la vetrina e dicevano: “Hey, date un’occhiata a quel dito falso…” poi si avvicinavano di più e esclamavano “Gesù Cristo! Non è finto, guarda c’è dello sporco sotto all’unghia!”
Il pollice diventò un argomento di discussione tanto che la gente veniva solo per vederlo. Un giorno contai otto persone curvate verso la vetrina ad osservare il pollice. Nel frattempo, Ricky viene a sapere che il suo dito è in bella mostra. Mi informano che Ricky è infuriato, quindi metto via il pollice. Lui viene al negozio a reclamare il suo pollice. Abbiamo avuto una discussione gigantesca su di chi fosse il pollice.
“L’ho trovato” dissi.
“Non mi importa. Non hai diritto a mettere in vetrina il pollice di qualcuno” mi rispose Ricky. Facevamo impazzire la gente, soprattutto le ragazze, con quel pollice. Gli dicevamo: “Tendi la tua mano” e gli facevamo cadere il cilindro di resina con il dito, e poi osservavamo le centinaia di espressioni che attraversavano i loro volti. Esse non sapevano e lasciarlo cadere o lanciarlo via. Io e Ricky abbiamo litigato per quasi due anni, per quel pollice. L’ho ancora io, chiuso in una scatola da qualche parte.
Quando ho appreso la notizia della scomparsa di Greg, mi sono recato nella mia libreria e ho cercato “Da Bull – Life Over The Edge”. Ho sentito il bisogno di rileggerlo, per la quarta volta. Aloha Greg.