Lo stesso giorno del 1995, quasi alla stessa ora, un altro noto big-wave rider perse la vita facendo quello che lui, come Mark, amavano di più: sfidare le più grandi onde inviategli da Madre Natura. Donnie Solomon morì a Waimea Bay, lo spot che aveva reso celebre Foo quando surfò un’onda close-out di 45 piedi. Erano entrambi surfisti estremamente esperti e preparati, che avevano cavalcato centinaia di onde sopra i 25 piedi, ma le circostanze che possono portare alla morte di un big-wave rider possono essere molte e imprevedibili.
Mark aveva viaggiato di notte dalle Hawaii alla California per catturare le gigantesche onde di Pillar Point. Era arrivato stanco, non abituato a surfare con una pesante muta che lo proteggesse dalle fredde e “sharky” onde di Mavericks, allora sotto i riflettori dei media come una delle più challanging waves del pianeta. L’onda su cui Mark perse la vita fu stimata una “banale” 18 footer. Il corpo venne trovato circa due ore dopo la caduta, quando decine di onde erano state surfate dagli altri surfisti in acqua.
Agli inizi degli anni ’90, la continua copertura mediatica delle riviste americane incentrata sulle grandi onde hawaiiane (soprattutto Waimea e Sunset), aveva un po’ stufato ed era iniziata la corsa a scoprire e valorizzare nuovi big-wave spot. In certi casi questa ricerca fu in realtà una riscoperta, come nel caso dell’onda di Cortez Bank, surfata la prima volta nel 1961 da un surfer californiano, certo Harrison Ealy. Per la cronaca, Mike Parson la resa poi famosa quando nel 2001 la assaltò insieme a un pugno di coraggiosi surfisti (Ken Collins, Peter Mel e Brad Gerlach in tow-in, mentre Evan Slater e John Walla tentarono di prendere le onda a braccia e quasi perdono la vita nel tentativo). Fu poi la volta di Todos Santos a balzare in vetta alla cronaca, e la sua fama toccò l’apice nel famoso inverno di El Nino nel febbraio del 1998 quando Taylor Knox cavalcò la celeberrima onda da 50.000 dollari. Era lì, sulla barca a fare le foto, e quel giorno resta uno dei più indimenticabili che ho mai vissuto in oltre 40 anni di surf e di viaggi, in quanto temetti più volte che la barca appoggio venisse travolta da quelle montagne d’acqua. Oggi, la Mecca del surf è Nazarè, in Portogallo, dove surfisti come Francisco Porcella e Alessandro Marcianò portano alto il tricolore. Ma c’è un’altro 23 dicembre che vale la pena ricordare, quello del lontano 1914, quando il padre del surf moderno, il leggendario Duke “Paoa” Kahanamoku introdusse il surf in Australia trascinando una donna (Isabel Letham) nelle acque di Fresh Water e le fece surfare un’onda su una rozza e pesante tavola di legno portata in spiaggia a bordo di una carrozza trainata da un cavallo bianco. Duke non solo insegnò ai locals come prendere le onde, ma gli mostrò come si costruisce una tavola che egli ricavò da un particolare tipo di pino (sugar pine). Infinito Duke …
Per questi fatti appena descritti, per me il 23 dicembre è una data speciale, fatta di ricordi belli e brutti, di luce e di ombre, accompagnati dalle musiche del Natale e dai “plop” dei tappi di spumante che in questi giorni di festa, non esito a stappare ogni sera. Aloha Mark, Solomon, Duke. Buon compleanno, figlio mio. Buon Natale a tutti.
“The life I’ve had has been good enough that I can die happily. Surfing’s done that; surfing’s given me that. So, I can accept dying while I’m surfing.”
Mark Foo