Era l’estate del 1984, quando saltammo per la prima volta in acqua dagli scogli del molo. Mio fratello Michele e Ario Bertacca avevano più volte osservato le belle onde, più che altro di notte dopo i loro bagordi quando non erano proprio lucidissimi
Per questo, avevo fatto una grossa tara sulle fantasie di Michele, la cui descrizione delle onde mi sembrava esagerata. E poi, a tenerci lontani da quello spot c’era la leggenda che un bravo surfista inglese che lavorava nella cantieristica viareggina, era stato gettato dalle onde sugli scogli del molo, riportando una brutta ferita a una gamba. In effetti, un paio di volte che ero andato a dare un’occhiata alle onde al molo, le onde spinte da un forte vento di maestrale andavano a schiantarsi con violenza sulla scogliera. Insomma, il molo era circondato da una specie di tabù.
Il suggestivo panorama che si gode alla line-up.
Pochi mesi prima, avevo conosciuto uno shaper sudamericano che lavorava presso la Blade, Roby Wilson Damiani. Di bassa statura, capelli riccioluti castani e grandi occhi azzurri che rispecchiavano un carattere gentile e pacato, aveva stretto amicizia anche con mio fratello Michele, con Francesco Farina tra i primi costruttori di tavole in assoluto nel nostro territorio. Già dal 1979 avevano iniziato a costruirsi le loro tavole personali, le prime inguardabili e impraticabili (alcune si spezzarono alla loro prima uscita). Roby rivelò a Michele e Ario, che in quel periodo producevano in esclusiva per il mio surf shop Natural Surf le “Wipe Out”, molti segreti sullo shaping e sulla resinatura. In cambio, noi lo portavamo a surfare nei migliori spot della costa, che spesso surfavano in assoluta solitudine. Che tempi! Fu lui a spingerci a entrare al molo, quella calda mattina estiva. Ci insegnò a sfruttare la corrente che pelava gli scogli per tornare più velocemente sul picco, e alla fine di quella indimenticabile session andammo a mangiarci un panino al negozio, guardando alcuni filmati di surf. Guardando delle immagini di Buttons Kaluiokalani, ci colpì una ripresa panoramica dello spot hawaiano dell’Ala Moana, situato presso una fila di scogli simile al molo. L’abbinamento fu immediato: al molo, ala moana! Da quel giorno, tutti noi chiamammo il molo all’hawaiana. Vuoi mettere? “Esco all’Ala Moana” era assai più cool che dire “Vado al molo”. Da allora, il primo spot che prendevamo in considerazione era l’Ala Moana. Se rompeva lì, fine della ricerca. Molte delle prime gare di surf furono organizzate al molo, incluso un “non ufficiale” campionato italiano organizzato dall’Italia Wave Surf Team nell’estate del 1987, vinto da Michele. Tra i più assidui frequentatori della line-up erano, oltre noi: Claudio Chelotti, Jacopo Migliorini, il Lomi, Stefano Giomi, Davide Fogola e molti altri che mi perdoneranno se non li nomino tutti. Personalmente, mi innamorai delle onde del molo. Innanzitutto, perché era una sinistra, non troppo ripida, ma lunga. Nei giorni migliori, come quello nella foto, assolutamente divertente, con un bel take off e una parete che si srotolava senza mai chiudere davanti a te, offrendo opportunità di eseguire vari tipi di manovre, inclusa qualche “copertura.” Fu qui che perfezionai il mio cut-back, che al molo diventa essenziale per sfruttare al meglio tutta l’onda. La Versilia è nota per i suoi innumerevoli sand-bar, i suoi beach-break che come tali sono imprevedibili e mutevoli, ma che offrono giornate indimenticabili. Come quel giorno in cui scattai questa foto, che descrive perfettamente la bellezza e la potenzialità dell’onda del molo nelle sue migliori giornate. Oggi, surfare al molo è per me una sensazione strana. Il ricordo di quelle lunghe session condivise con pochi amici che rispettavano i consigli dei più esperti, stride con l’anarchia che spesso regna sul picco. Ma una bella giornata al molo è sempre una carezza all’anima. I love you, Ala Moana… Ma no, molto più figo all’italiana: ti amo, molo!