Sopra di noi un cielo grigione, un po’ tetro un po’ nostalgico.
La Dani traccia la prima linea dal cartello, stende il metro, contiamo 100mt e traccia la seconda linea.
Buste, guanti, settori assegnati, tutto pronto per iniziare, 100 metri di spiaggia da controllare. Il protocollo è molto preciso e dettaglia esattamente il punto da monitorare, la grandezza dei rifiuti da raccogliere e i criteri per catalogare poi quanto raccolto.
Alzo gli occhi sulla spiaggia, nessun rifiuto. Penso, ma cosa ci sarà da raccattare qui, è già tutto pulito! Io che son pugliese di origini, sulla spiaggia in inverno sono abituata a ben altre robe.
E invece, anche qui, in questa spiaggia “pulita” dopo due ore abbiamo tirato fuori oltre 2.300 oggetti tra cui:
mozziconi di sigarette (numerosissimi), cannucce di succhi e succhini, bottiglie di vetro e plastica, innumerevoli frammenti di plastica di oltre 2 cm ( probabilmente derivanti da un oggetto a prima vista di uso industriale? ), confezioni di merendine, fogli di alluminio (si proprio quelli del panino al mare), tappi di vario tipo per bevande e altri prodotti. Ah, e poi 25 lacrime di sirena … pensa te, ironia della sorte, queste sono plastiche primarie, ovvero materiale che fa da base per la costruzione della maggior parte degli articoli di plastica. Cioè dovrebbero essere una risorsa che però inquina ancora prima di diventare un prodotto.
E le lacrime vengono a me… se su questa spiaggia apparentemente “pulita”, in sole due ore e sulla sola superficie abbiamo trovato tutto questo, cosa succede su spiagge che già a prima vista appaiono “sporche”?
Cambiare i nostri comportamenti, modificare le nostre scelte di consumo, produrre meno rifiuti, ecco, questo è l’unico modo per avere un mondo più pulito.